Qualche noce, qualche mandorla e alcuni pistacchi. Era la merenda preferita dai bambini delle generazioni passate. Dovrebbe ritornare ad essere quella dei bambini d’oggi.
Nel complessivo movimento di riscoperta della dieta mediterranea un posto rilevante, troppo spesso sottovalutato, va riconosciuta proprio alla frutta secca.
“La frutta secca, i cosiddetti nuts americani, sono – sottolinea Enrico Roda, ordinario di Gastroenterologia presso l’Università di Bologna – ricchi di grassi polinsaturi e di antiossidanti”.
Dunque, una merenda saporita e, allo stesso tempo, salutare. Il mix perfetto che definisce la dieta delle popolazioni mediterranee è infatti composto da circa un 50% di carboidrati complessi (esempio pasta), da un 30% di proteine (esempio pesce o legumi) e da un 20% di grassi polinsaturi. Grassi che possono essere apportati dall’olio d’oliva oppure proprio dalla frutta secca, noci, mandorle e pistacchi.
L’importanza delle noci per il funzionamento del metabolismo umano e per un vita longeva è stata poi confermata anche da un recente studio sulla macadamia, un tipo di noce australiana.
Il genetista Annibale Puca, studioso dei meccanismi molecolari dell’invecchiamento nell’Istituto Scientifico MultiMedica, ha individuato il segreto della longevità nell’acido palmitoleico, contenuto in alte quantità nel frutto australiano.
La ricerca è stata presentata nel corso del Convegno “La medicina del benessere: attualità e prospettive”, che si è svolto a Milano la settimana scorsa (update: nel giugno del 2009).
Le noci macadamia, scoperte oltre 500 anni fa dagli aborigeni, contengono un’alta percentuale di acido palmitoleico, protagonista di alcune delle più recenti e interessanti scoperte sulla longevità.
La longevità, intesa come la capacità di raggiungere età molto avanzate in buona salute, è un tratto in parte geneticamente determinato, ma viene anche influenzato da fenomeni ambientali.
La dieta, anche in questo caso, ricopre un ruolo fondamentale, e il recente cambiamento nelle abitudini alimentari è uno dei motivi per cui le popolazioni industrializzate hanno enormemente incrementato l’aspettativa di vita negli ultimi 160 anni.
“Non bisogna dimenticare – spiega Puca – che il profilo lipidico riflette, oltre al patrimonio genetico ereditato dai progenitori, anche i cibi che consumiamo tutti i giorni, in grado di modificare la struttura delle cellule”.