Biodanza

In una fase storica come quella attuale in cui si fa sempre più spazio l’approccio olistico, tutto ciò che va al di fuori delle terapie farmacologiche ha assunto un ruolo importante nel trattamento dei pazienti. Non a caso l’attività fisica è diventata parte integrante di programmi terapeutici. Tuttavia, in una visione in cui non è l’assenza di un sintomo clinico che determina lo stato di salute, si può prendere in considerazione che anche le piccole nevrosi di cui praticamente tutti gli esseri umani soffrono, in particolare nel mondo occidentale, possono rappresentare un elemento su cui agire per vivere meglio. La diffusione e la pratica di metodi meditativi, in tutte le sue declinazioni, dallo yoga alla preghiera, e di corsi di attività fisica, dalle arti marziali al body building, ne sono la prova: sono sempre più le persone che, seppur sane, amano occuparsi del proprio benessere psichico e fisico. Restando quindi nell’ambito delle persone cosiddette sane, viene da chiedersi se anche questo tipo di attività, o fisiche o meditative, siano ancora una volta un approccio riduzionista, cioè attente solo all’aspetto tecnico-muscolare o meditativo-mentale. Senza nulla togliere alla validità di queste discipline, un antropologo e psicologo cileno, Rolando Toro, ha elaborato, dagli anni ‘60 a oggi, un metodo, chiamato Biodanza, che propone il coinvolgimento della persona nella la sua interezza: corpo, anima e psiche.

Origini psichiatriche
La sua attività ha avuto inizio nel 1965, nell’ospedale psichiatrico di Santiago del Cile, presso cui sperimentava metodi per rendere più umana la medicina con cui a quei tempi venivano trattati questo tipo di malati. Tra questi anche le psicoterapie di gruppo secondo la linea di Carl Rogers quali l’arte-terapia (pittura, teatro) e lo psicodramma. Propose anche l’ascolto di musica associato al movimento, cioè la danza, e osservò che i pazienti reagivano, ma non tutti allo stesso modo. Per esempio, musiche ritmiche miglioravano il tono dell’umore in soggetti con gravi depressioni, mentre le musiche lente inducevano regressione e aumento dei deliri nei pazienti psicotici. Modulando però le proposte musicali riusciva a ottenere buoni risultati sulle patologie mentali di questi soggetti. Intuì quindi che l’associazione di musica e movimento stimolava nei soggetti, in questo caso malati, un cambiamento che si esprimeva con manifestazioni emotive.

Potenziali non espressi
Rolando Toro estese la proposta anche ai soggetti “normali”, cioè alle persone che, anche se considerate sane, si possono giovare di un metodo che ha come obiettivo il miglioramento della persona e lo sviluppo delle sue potenzialità. Le basi filosofiche del metodo, infatti, considerano l’essere umano dotato fin dalla nascita di istinti primordiali, in Biodanza chiamati potenziali genetici, ereditati filogeneticamente dalla specie, in grado di assicurare la sopravvivenza dell’individuo e della specie stessa. Tuttavia l’educazione culturale ricevuta nel corso della vita ne ha esaltati solo alcuni a discapito di altri; se si considera la società moderna, e i ritmi che impone, e i condizionamenti culturali-religiosi viene facile immaginare quali siano stati esaltati e quali, al contrario, repressi. Non a caso nella psicologia moderna si parla di repressione come fattore che induce, nel migliore dei casi, nevrosi. Un esempio banale, ma indicativo, lo si può ritrovare in un istinto che accomuna tutti gli animali: la fame. Ebbene, spesso le esigenze lavorative portano a saltare il pasto, inizialmente se ne soffre ma a poco a poco ci si abitua, cioè l’istinto della fame si indebolisce e non si avverte più l’esigenza di fare la pausa pranzo. Questo schema si può estendere a tutti gli istinti. Il lavoro proposto dalla Biodanza va nella direzione opposta, cioè al recupero di tali istinti, inteso come recupero delle funzioni originarie che hanno l’obiettivo di mantenere l’organismo in vita e sano.

Basi organiche
Nella pratica ciò si traduce in sessioni di attività pensate per lavorare su basi organiche, prendendo spunto dalla neurofisiologia. Il sistema nervoso umano si può immaginare come organizzato in strati, la zona più esterna, zona corticale, il più recente dal punto di vista dell’evoluzione, è la sede delle funzioni più “alte”, il linguaggio verbale, la vista, l’intelligenza, la memoria e la coscienza. La parte più interna è invece quella in cui risiedono i centri nervosi che regolano gli istinti, della fame, della sete, della riproduzione, eccetera, e fanno riferimento all’ipotalamo, centro nervoso che regola il sistema endocrino, cioè la produzione degli ormoni. L’ipotalamo, sostanzialmente, controlla il sistema nervoso autonomo cioè quello che garantisce la funzionalità dell’organismo senza intervento della volontà (detto anche vegetativo); questo, a sua volta, è distinto in simpatico e parasimpatico. A questa distinzione corrispondono attività antagoniste; mentre il simpatico stimola il cuore, fa dilatare i bronchi e contrarre le arterie e inibisce l’apparato digerente, preparando l’organismo all’azione fisica, nel momento in cui ciò è necessario, il parasimpatico agisce all’opposto, preparando l’organismo all’alimentazione, alla digestione e al riposo, cioè all’accumulo di energia.

Equilibrio perduto
La Biodanza agisce sul sistema nervoso autonomo riequilibrando le due attività, poiché, come è facile immaginare, è sbilanciato solitamente verso l’azione simpatica, anche se può verificarsi l’esatto contrario. In ogni caso l’obiettivo è il recupero dell’equilibrio. Per fare questo propone, secondo una sequenza studiata, esercizi che inizialmente stimolano la funzione simpatica e poi, gradualmente, quella parasimpatica, usando semplici espedienti. La musica innanzitutto, scelta e sperimentata da Rolando Toro per indurre a seguire ritmi diversi e poi la sospensione della parola (funzione corticale). Nella prima fase della sessione vengono proposti esercizi che attivano la vitalità con danze ritmiche, a volte ludiche, che fanno aumentare l’umore endogeno. Nella seconda fase si va verso un’armonizzazione con danze più fluide; i movimenti diventano più lenti, l’intensità delle luci viene abbassata (altro espediente che evita di stimolare la vista). L’obiettivo della sessione è mettere “a riposo” le funzioni corticali a favore dell’azione nervosa autonoma, inizialmente simpatica e poi quella parasimpatica. L’insieme di questi espedienti, unitamente alla presenza di un gruppo che nel tempo, lavorando insieme, diventa coeso e integrato e quindi protettivo, dà la possibilità a ogni persona di dare spazio alla sfera emotiva, anch’essa legata all’attività ipotalamica, e all’ascolto di ciò che avviene dentro di sé. La sessione di Biodanza dura circa due ore e si ripete settimanalmente. Rappresenta una sorta di allenamento dell’organismo a riprendersi l’equilibrio e insegna all’individuo a riconoscerlo e valorizzarlo; tali trasformazioni, inizialmente limitate alle due ore della sessione, nel tempo dovrebbero diventare durature. Dovrebbero… ma ciò dipende dal grado di resistenza opposta dall’individuo e da quanto profondamente certi squilibri sono in esso radicati, ma basta solo avere pazienza per avere risultati.

(testo di Simona Zazzetta ripreso da Dica33.it)

Fonte: Rete Olistica

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